I giornali italiani non se ne occupano, ma c’è uno spettro che si aggira per l’Europa. Gli organi stranieri (FT, WSJ…insomma i giornali minori), con qualche ragione, sbattono invece l’evento in prima pagina. Perchè di evento si tratta, con buona pace delle tiepide rassicurazioni del Sole 24 Ore, che si rallegra della scarsa esposizione del nostro sistema bancario nei titoli pubblici del Sud Europa (e noi dove siamo, in Scandinavia?).
L’evento, dicevamo, è che in atto una massiccia speculazione ribassista contro l’euro. In parole povere, gli investitori istituzionali – quelli che muovono quantità tali da incidere su prezzi, interessi e cambi – stanno scommettendo che l’euro andrà sempre più giù. Lo fanno “allo scoperto”, cioè senza possedere realmente la valuta europea: vendono qualcosa che non hanno adesso, confidando di ricomprarlo in futuro a un prezzo inferiore. Se tutti lo fanno allo stesso momento, come sta accadendo in questi giorni, l’aspettativa si autorealizza (in corrispondenza di 40mila contratti e 8 miliardi di dollari in controvalore nella settimana fino al 2 febbraio, l’euro è sceso a 1,36 dollari). Più ci si allinea in queste previsioni ribassiste, e meno è rischioso scommettere. Come a dire che più sono i giocatori che puntano un numero alla roulette e più la probabilità che quel numero esca effettivamente aumenta.
Avessimo la possibilità, saremmo già al casinò.
La notizia suscita una domanda: c’è qualcuno dietro questo attacco valutario, che ricorda i raid guidati da Soros contro lira e sterlina nel 1992? Wall Street, l’establishment cinese, quello americano? Insomma, a chi conviene un euro debole?
Per paradosso, potrebbe convenire proprio all’Europa. Soprattutto a quei paesi affetti di atavica gap da competitività (Italia in primis), cui esportazioni meno costose potrebbero catalizzare un minimo di ripresa. Ne risulteranno però dissestati i conti pubblici, che per essere finanziati con valute extra-euro andranno incontro ad ulteriori aggravi.
Con tutto questo rosso nei budget pubblici, la notizia meritava almeno un titolo in prima.