Analisti in analisi

luglio 19, 2010

Moody’s declassa l’Irlanda, abbassando il rating ad aa2. Questo – dicono gli esperti – influirà sul corso euro/dollaro. Infatti, pochi secondi e la moneta unica si allontana da quota 1,30.

Poi, dopo solo qualche istante, l’euro comincia a riprendersi. E gli analisti? Beh, ci sono i dati macro Usa in netto peggioramento, le trimestrali dei big player a stelle e strisce, che pure macinano utili, non hanno soddisfatto le attese.

Ma le attese di chi? Degli analisti, of course.

Non azzeccandone (quasi) mai una, viene da pensare che i movimenti di mercato avvengano studiando preventivamente a tavolino il consensus degli analisti, e non con gli effettivi dati reali.

Basta leggere un qualsiasi pezzo di finanza per accorgersene. L’analista è bravo quando raccoglie consenso. Il consenso è valido meno analisti lo supportano.


Dollaro, euro e yuan: il gioco delle tre carte?

Maggio 25, 2010

La Clinton e Geithner tra domenica e lunedì si sono recati in visita a Pechino per l’annuale incontro bilaterale. Di fatto, il G-2. Nonostante l’ovatta della diplomazia, si è imposta una dichiarazione del presidente cinese Hu Jintao, che ha confermato la volontà asiatica di staccare lo yuan dal peg, l’aggancio con il dollaro americano (oggi 1 dollaro vale 6.83 yuan, con una banda di oscillazione molto limitata: praticamente il rapporto rimane costante), ripristinata dal 2008 (era stata interrotta nel 2005). Un’ammissione molto blanda e molto vaga: non sono stati definiti nè tempi nè modalità. Rimane comunque l’apertura verso il partner statunitense, che non più tardi dell’autunno scorso tacciava Pechino di “manipolare la sua valuta” a fini commerciali, cosa che aveva spinto il rapporto bilaterale sull’orlo del precipizio. E’ bene chiarirlo ancora una volta: se Usa e Cina cominciano a farsi la guerra (commerciale), la pagheremo tutti.

In un momento storico di contrazione per l’euro (ma si dovrebbe inquadrare il suo andamento nel più lungo periodo, ricordando che anche le valute sono soggette a cicli) e di flight to quality verso il dollaro, anche lo yuan si sta apprezzando rispetto alle altre monete del pianeta. Il che sta mettendo in difficoltà le esportazioni cinesi sul principale loro mercato di sbocco: quello europeo. Non è chiaro come e quanto una graduale liberalizzazione della valuta cinese riuscirebbe nell’intento dell’amministrazione Obama: rafforzare il potere d’acquisto dei 300 milioni di cittadini che compongono la classe media della Repubblica Popolare, facendo così da volano alle esportazioni a stelle e strisce. L’apertura di Hu Jintao è dettata paradossalmente dall’auspicio opposto: sganciarsi dal dollaro perchè esso sta diventando troppo caro agli occhi del mondo. Come a dire: “La Cina non ha a che fare solo con gli Stati Uniti”. Una considerazione che Geithner avrà fatto di sicuro.


Bce e l’incertezza dei mercati

Maggio 17, 2010

Proviamo da oggi l’esperimento di audioblog. 4 minuti scarsi per spiegare concetti che – messi per iscritto – potrebbero suscitare un po’ di repulsione. Non avrò la voce di Sinatra, ma così il tutto risulterà più immediato e godibile. Fatemi sapere cosa ne pensate.


Zero tituli

febbraio 9, 2010

I giornali italiani non se ne occupano, ma c’è uno spettro che si aggira per l’Europa. Gli organi stranieri (FT, WSJ…insomma i giornali minori), con qualche ragione, sbattono invece l’evento in prima pagina. Perchè di evento si tratta, con buona pace delle tiepide rassicurazioni del Sole 24 Ore, che si rallegra della scarsa esposizione del nostro sistema bancario nei titoli pubblici del Sud Europa (e noi dove siamo, in Scandinavia?).

L’evento, dicevamo, è che in atto una massiccia speculazione ribassista contro l’euro. In parole povere, gli investitori istituzionali – quelli che muovono quantità tali da incidere su prezzi, interessi e cambi – stanno scommettendo che l’euro andrà sempre più giù. Lo fanno “allo scoperto”, cioè senza possedere realmente la valuta europea: vendono qualcosa che non hanno adesso, confidando di ricomprarlo in futuro a un prezzo inferiore. Se tutti lo fanno allo stesso momento, come sta accadendo in questi giorni, l’aspettativa si autorealizza (in corrispondenza di 40mila contratti e 8 miliardi di dollari in controvalore nella settimana fino al 2 febbraio, l’euro è sceso a 1,36 dollari). Più ci si allinea in queste previsioni ribassiste, e meno è rischioso scommettere. Come a dire che più sono i giocatori che puntano un numero alla roulette e più la probabilità che quel numero esca effettivamente aumenta.

Avessimo la possibilità, saremmo già al casinò.

La notizia suscita una domanda: c’è qualcuno dietro questo attacco valutario, che ricorda i raid guidati da Soros contro lira e sterlina nel 1992? Wall Street, l’establishment cinese, quello americano? Insomma, a chi conviene un euro debole?

Per paradosso, potrebbe convenire proprio all’Europa. Soprattutto a quei paesi affetti di atavica gap da competitività (Italia in primis), cui esportazioni meno costose potrebbero catalizzare un minimo di ripresa. Ne risulteranno però dissestati i conti pubblici, che per essere finanziati con valute extra-euro andranno incontro ad ulteriori aggravi.

Con tutto questo rosso nei budget pubblici, la notizia meritava almeno un titolo in prima.