C’è un aspetto della legge di stabilità che proprio non torna.
Si tratta del diverso trattamento fiscale concesso alle banche in tema di perdite su crediti. In breve, alle banche viene concesso di dedurre dall’imponibile Ires (e, sembra, Irap) la quota di crediti ormai svalutati su un arco temporale molto più breve (5 anni) del precedente (18 anni).
Un esempio: una banca registra 1,8 miliardi di svalutazioni su crediti, dovute al progressivo logoramento dell’economia reale. Invece che dedurre 100 milioni ogni anno da qui al 2030, potrà dedurre 360 milioni all’anno per i successivi 5 anni. Considerando un’aliquota Ires al 27,5% (e tralasciando l’Irap), da qui a fine 2017 la banca risparmierebbe in tasse 357,5 milioni, 71,5 ogni anno. (Ci sarebbe da considerare che lo 0,3% degli impieghi svalutati viene comunque dedotto tutto nel primo anno, ma l’ordine di grandezza rimane).
Per rendere l’idea: Banca Imi stima che l’utile netto per una banca come Unicredit crescerà (per il solo 2014) di 270 milioni.
Per i prossimi 5 anni – alquanto critici, per il sistema bancario italiano alle prese con la transizione verso la supervisione europea unica – le banche pagheranno meno tasse e, nelle intenzioni del governo, saranno più disponibili a concedere credito alle imprese.
Detto questo, è comprensibile come gli istituti abbiano accolto con favore la norma (anche se chiedevano di concentrare tutto in un solo anno, e non in cinque). Meno comprensibile è come il governo inserisca il provvedimento tra le voci di copertura. Cioè tra le poste di maggiori entrate o minori spese.
Nelle linee guida della legge di stabilità si legge infatti, alla voce reperimento risorse, che 2,2 miliardi derivano “dalla revisione del trattamento delle perdite di banche, assicurazioni e altri intermediari”.
Ma come è possibile che ci guadagnino le banche e contemporaneamente ne tragga beneficio anche l’Erario (per oltre 1/4 delle voci di copertura totali, tra l’altro)? Non sembra un gigantesco bluff?
La spiegazione teorica è sempre la stessa: le banche tornano a erogare prestiti, le imprese si riprendono, tornano a macinare profitti e a pagarci sopra le imposte.
Ma con un’economia che nessuna organizzazione vede crescere oltre lo 0,8%, 2,2 miliardi nel solo 2014 non sono una previsione ragionevole.
Altro che ottimismo della volontà.